23.06.22

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#Lapostadeltifoso | Pietro: "La Lazio mi fa tornare bambino: la lazialità appartiene a chi rispetta l'avversario"

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“Di Lazio ci si ammala inguaribilmente”, firmato Giorgio Chinaglia. Mai frase fu più azzeccata. Perché la passione biancoceleste è imprevedibile e illogica, una volta che ti prende non ti lascia più. Ognuno è diventato della Lazio in modo diverso e grazie ad una persona, o particolare, speciale. Dettagli e retroscena che non vediamo l'ora di ascoltare: nasce infatti da oggi "La posta del tifoso", dove i protagonisti siete voi, il cuore pulsante della Lazio.

Manda un'email a laziostyle1900officialmagazine@gmail.com con il numero di telefono e verrai ricontattato al più presto per raccontare come è nato il vostro amore per i colori biancocelesti. Le storie migliori finiranno sul prossimo numero di Lazio Style 1900 Official Magazine.

Il protagonista di oggi è Pietro, un laziale d'altri tempi con valori importanti.

Come e grazie a chi è nata la tua passione per la Lazio? 
"Avevo 5 anni e dicevo che tifavo per la "Giuventus", proprio pronunciata così. Mio padre Francesco, nato nel 1928, aveva avuto la fortuna di veder giocare Silvio Piola e così mi raccontava di quel calciatore potente e tecnico che segnava gol a valanga. Non mi obbligò affatto a tifare per la Lazio, ma nei suoi racconti particolareggiati ed epici offriva ad un bambino una bella favola, quella di un campione e dei suoi compagni che giocavano al calcio e sconfiggevano gli avversari. Campioni in maglia Celeste con i capelli impomatati, gambe muscolose e torace ampio. La sua arte di raccontare, era un inventore di favole, mi sedusse e naturalmente da padre in figlio divenni tifoso della Lazio. Stiamo parlando di un'epoca difficile. Erano gli anni del sali e scendi tra serie A e serie B e si rincorrevano già i nomi di Pino Wilson e Giorgio Chinaglia. La vera gloria doveva ancora arrivare di lì a pochi anni. C'era mio padre, ma anche il fratello più piccolo, Zio Roberto, ebbe un ruolo importante. Mi portò  allo stadio nella stagione 1974/75 e 1975/76. Vidi diverse partite nei Distinti Nord lato Tevere. Quei colori e le bandiere ebbero un grande effetto su un bambino di dieci anni. Vidi delle sconfitte contro l'Inter e il Toro di Pulici e Graziani (poi si seppe il motivo di quella disfatta), ma l'amore per la Lazio non fu minimamente scalfito".
 
Qual è stato il tuo primo calciatore preferito? Quello di ora invece?
"Parto da una premessa. Ero innamorato di Lionello Manfredonia e Bruno Giordano. Ma quel che accadde nel 1980 mi prostrò. In fondo non gli ho mai perdonato quella leggerezza e decisi che nessun campione avrebbe più avuto un posto particolare nel mio cuore. Considero i giocatori dei professionisti che giocano a contratto. Non ho più creduto ai baci  alla maglia. Qualcuno avrà affetto e riconoscenza per la SSLazio ma nulla di più. Ci sono però quei calciatori che adoro per la loro tecnica e generosità. Era l'anno dell'esame della mia maturità, esame di stato, il 1983 e Michael Laudrup arrivava alla Lazio. Aveva la mia età e il pallone gli rimaneva incollato ai piedi nelle sue serpentine. Mi piaceva moltissimo. Ma fu solo un anno. Tra l'altro non felice. Per il resto amo i giocatori che ci mettono l'anima. Che gettano il cuore oltre l'ostacolo. Sarò retorico ma questo profilo lo ritrovo in Ciro Immobile. Che non è solo un grande bomber che segna a raffica e fa gol bellissimi, ma è un uomo che corre e gioca per la squadra. Lo amo".
 
Ricordi la tua prima volta allo stadio?
"Questo è un particolare importante su mio padre. Era un amante del bel calcio. Amava i grandi interpreti, qualsiasi maglia indossassero. Il 3 marzo 1972 entrai per la prima volta allo stadio Olimpico, in Curva Sud per l'incontro Roma-Santos. Papà voleva farmi veder giocare uno dei più grandi campioni: Pelè. Sbagliò pure un rigore, ma che ricordo per un bambino! La Lazio la vidi la prima volta a 10 anni. Era Lazio - Inter del 4 novembre del 1974. Ricordo chiaramente che la Lazio partì benissimo con il gol di Re Cecconi ma poi la sfortuna con l'auto gol di Oddi e il gol dell'Inter, viziato da un fallo laterale assegnato ingiustamente all'Inter, decretò la vittoria dei milanesi. Una bella prova per un bambino. Tornai allo stadio al Flaminio nel 1989. Portai Mia moglie (appena sposata) in curva e nonostante ciò non chiese il divorzio. Perché fu una bolgia con litigi e risse. Poi iniziai a lavorare e a viaggiare. Quindi ero sempre lontano per lunghi periodi da Roma. Ho visto la Lazio spesso a Torino, Milano, Genova, Bergamo, Brescia. Appena giocava nella città che mi ospitava o era a distanza raggiungibile in poche ore e non ero impegnato a lavorare, andavo. Nel 1996 mi sono trasferito a Milano. E mi sono subito iscritto al Lazio Club Milano. Anche oggi, che vivo in Svizzera, se torno a Roma  compro i biglietti e vado. Se gioca a Milano, Torino, Brescia o Bergamo faccio lo stesso. Le altre pazzie: ho portato la Lazio con me in palcoscenico. Un regista  mi aveva chiesto come volevo fosse addobbato il bar che mi vedeva protagonista in scena: bene, con sciarpe, poster e gagliardetti della Lazio. Io entravo in scena indossando la maglia autografata di Zàrate.
 
Qual è stata la tua più grande pazzia fatta per la Lazio?
"Ho sempre seguito la Lazio anche se sono stato circondato di amici romanisti. Per sopravvivere agli anni '80 a Roma in quell'ambiente ci voleva grande amore, fermezza e serenità. Non ero abbonato e non andavo allo stadio all'epoca. Seguivo sempre per radio o sulle televisioni private. Avevo paura dello stadio. Erano anni difficili, avevo pochissimi soldi in tasca (mio padre morì nel 1976 e non navigavamo in buone acque in famiglia) e una madre apprensiva".
Cosa rappresenta per te la Lazio?
"Lo dico sempre: per me guardare e seguire la Lazio vuol dire tornare bambino. Perdere il pudore ed esultare (o disperarmi) come un pazzo. 
Non guardo altro calcio. Per me esiste solo la Lazio. Porto con me allo stadio, quando è possibile, i figli per condividere questa emozione. Tutti e quattro ovviamente laziali. La mia compagna attuale, madrileña, è venuta diverse volte e la Lazio ha sempre vinto. Aggiungo che la Lazio è anche lazialità. Ho visto purtroppo situazioni spiacevoli allo stadio che tutto rappresentano meno che questo spirito. Credo che la lazialità debba appartenere a chi indossa la maglia. Con comportamenti sempre sportivi e rispettosi dell'avversario. Si combatte sportivamente per vincere con il merito, mai con l'inganno o la furbizia. L'avversario si rispetta. Prima e dopo. Sempre. Sia che si vinca, sia che si perda. Questa è la lazialità per me.Un abbraccio a tutti i laziali nel mondo!".
 

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